Non proprio.
L'articolo fu pubblicato sul Corriere del 24 Luglio del 1975 ed è contenuto nel libro Lettere Luterane; online l'ho trovato solo qui
https://www.facebook.com/Pier.Paolo.Pasolini.Eretico.e.Corsaro/posts/la-droga-una-vera-tragedia-italiana-per-chi-non-si-droga-colui-che-si-droga-%C3%A8-un/525685047495533/Pasolini sostanzialmente dice che, dopo il '68, in Italia il fenomeno della droga non è più soltanto individuale ma anche di massa.
Individualmente, Pasolini riconduce la scelta di drogarsi, specialmente per le classi inferiori, a una mancanza di cultura; ma non nel senso che «non leggo i libri e quindi mi drogo», ma che il desiderio di cultura richiede una vitalità che, quando manca, spinge a delle scelte che riempiano quel vuoto, e la droga è scelta principe perché è intrinsecamente legata a un desiderio di annullamento.
In termini più prosaici (che Pasolini probabilmente non approverebbe) l'uomo di cultura non ha il tempo di drogarsi perché le ore spese nella fattanza gli tolgono tempo che può spendere meglio nel mondo.
A livelli sociali più alti, e lui fa l'esempio degli artisti che si drogano, non è il vuoto di cultura a spingere alla droga ma la necessità, spinta da un difetto, di sostituire la maniera allo stile e la disperazione alla grazia. Su questo fenomeno non esprime giudizio perché, per quanto possa apparire nefasto, effettivamente grandi artisti sono stati dei disperati manieristi.
Pasolini però preferisce concentrarsi sul fenomeno della droga come collettivo, che in questo caso non è dovuto a una mancanza di cultura ma a una perdita di valori. Molto del suo lavoro nel 1975 cercava di mettere in luce come il consumismo avesse completamente piallato lo stile di vita tradizionale degli italiani, sostituendovi una logica vuota e orribile.
In poche parole, i giovani degli anni '70, attraverso tutte le classi sociali, si drogano perché a loro parole come «Dio, patria, famiglia» non dicono più assolutamente niente.
Pasolini qui fa la sua solita ginnastica mentale per non parlare troppo bene del fascismo, che questi valori li ha incarnati ma secondo lui non hanno avuto nessun effetto, né negativo né positivo, su quelli che gli italiani spontaneamente possedevano — perché sotto il fascismo questi valori erano "ufficializzati" e quindi calati dall'alto. Mentre invece il consumismo post-boom-economico ha devastato il paese in modi che il fascismo non è mai riuscito a fare.
Conclude poi l'articolo con una provocazione, dichiarandosi a favore della depenalizzazione delle droghe leggere: se il governo ha reso l'Italia un posto orribile, perché deve togliere ai cittadini la possibilità di drogarsi?
>>4920Veramente parlava, come sempre, del tipo umano piccolo borghese che all'epoca stava diventando (e oggi è diventato) praticamente universale: sopra la soglia di povertà, semicolto, che segue i media e che ha completato la scuola dell'obbligo.
Also con tutto il bene che voglio ad anon, l'insieme dei pagati per eccellere che si arrotolano la cannetta quotidiana e l'insieme degli uomini di cultura sono due sfere separate.
Non dico buona cultura, dico che l'utilizzatore abituale di sostanze non ha interesse nel mondo della cultura (che spesso derubrica come "scienze delle merendine") e non è ricettivo ai valori tradizionali come Dio e famiglia.