No.11812
Tempo fa avevo scritto un inizio di qualcosa in stile lovecraftiano ma non l'ho mai portato avanti perché non so gestire una trama, sono più bravo con le poesie. Lo incollo qua perché tanto è corto, potrebbe essere l'inizio di un racconto collettivo scritto interamente su diochan.
C’è chi dice che dietro alle leggende esista un fondo di verità. Altri pensano che siano solo favole. In pochi ci credono davvero. Di tutti questi, nessuno osa mettere in dubbio l’esistenza della leggenda a cui si riferiscono. In nessuno germoglia il sospetto, anche molto lieve, che essa possa essere soltanto una patina scura, poggiata sulla realtà dalle persone stesse per nascondere qualcosa di più terribile, di più spaventoso. Io non ho mai creduto alle leggende, le ho sempre viste come delle storie. Delle storie buone per mandare a letto i bambini. Eppure mi dovetti ricredere anche io, quando giunsi alla fine della mia ricerca. Quando mi trovai costretto a riconoscere l’esistenza di qualcosa che da allora mi è stato impossibile dimenticare di avere visto – e sa il Cielo se avrei voluto farlo. Neanche il più folle dei folli potrebbe immaginare, nel più blasfemo delirio dei suoi sogni allucinati, quali indicibili sussistenze si aggirino dietro a quella nebbia che noi stolti chiamiamo verità.
No.11813
Ti scrivo qui la sinossi di un breve racconto che scrissi per un tema libero in quinta elementare. Pensavo di aver scritto una cosa buona ma la maestra mi diede un'insufficienza scrivendomi come mai non scrivevo di cose allegre, di fiori e sorrisi. Vaffanculo puttana.
Ci sono un gruppo di viaggiatori su un treno, una grigia e plumbea mattina di novembre. Si tratta di un treno regionale, di quelli vecchi a scompartimenti. Alcuni leggono il giornale, un altro sonnecchia.
Ad un certo punto dall'interfono si sente una voce gracchiare, dicendo che il treno salterà la prossima fermata ed anche quella dopo. Gente incazzata, eccetera. Pochi secondi dopo la stessa voce dice a tutti i viaggiatori di non uscire dallo scompartimento, per nessuna ragione. Nello scompartimento con i nostri protagonisti decidono di obbedire, spaventati.
Il treno accelera e non ferma, nell'incertezza generale.
Ad un certo punto c'è una curva in cui il treno deve necessariamente rallentare: i viaggiatori vedono dal finestrino un uomo che corre incontro al treno, il volto disperato, in mezzo all'erba alta. Ad un certo punto qualcuno o qualcosa lo tira giù, e scompare dalla vista.
Il viaggio continua, ad un passaggio a livello vedono un cadavere, per strada. Nessuno in giro, nessuna auto, nessun camion.
La voce gracchiante dall'interfono annuncia che il treno terminerà la corsa alla prossima stazione e annuncia poi "che dio ci aiuti". Il racconto più o meno finiva così. Ai tempi leggevo Dylan Dog e ne ero molto influenzato.
No.11816
>>11813Sinceramente emozionato, è molto vivido e chiaro, che è la base per un buon racconto. A me comunque icorda molto più Poe che Dylan!
No.11817
>>11813Beh ma è proprio carino, e ottima la fine.
No.11818
>>11813>Anon riscrive "Qualcosa era successo" di Buzzati, aggiungendo un tocco horror/post-apocalittico (che tbh toglie pathos e smorza l'inquietudine del racconto originale)>Minkya anon bravissimoLol?
No.11819 SALVIA!
>>11818Lollone, OP sei veramente un mentecatto, e confermo che leggendo la fine del racconto di Buzzati, la tua è sicuramente meno intrigante
No.11821
>>11813>>11819È una copia del racconto di Buzzati ma secondo me è carino comunque. Il tono più soprannaturale mi piace, mi ricorda le creepypasta. Ci sta come rilettura
No.11823
>>11808Io tempo fa provai a scrivere due volte una storia horror ambientata in un orfanotrofio in Russia durante l'epoca zarista (leggevo molto Dostoevskij all'epoca).
Solo che non l'ho mai completata perché non sapevo davvero come scriverla bene.
No.11918
Vi posto una creepy pasta che avevo scritto, non ho mai avuto lo sbattimento di tradurre in inglese e non sapevo dove postare in italiano. È un po' lunga.
Vi è mai capitato di ripensare, per la prima volta dopo tanti anni, agli eventi del vostro passato, e di accorgervi di qualcosa di molto inquietante?
10 giorni fa è morta mia nonna materna, e quindi questa settimana siamo nel suo paesino per organizzare i funerali. Ripercorrere i luoghi della mia infanzia mi ha rievocato tanti ricordi.
Mia madre è nata e cresciuta in questo remoto paese di provincia. Suo fratello era malato sin dalla nascita ed è morto molto giovane, quindi tutta l'attenzione dei genitori è stata dirottata su di lei. Appena maggiorenne si è trasferita in città e ha conosciuto mio padre. Mio nonno è morto subito dopo e con mia nonna abbiamo avuto contatti veramente minimi, ho sempre pensato che semplicemente non andassero granché d'accordo, senza però mai approfondire.
Eppure, quando avevo 10 anni o poco meno, ricordo che per un'estate ero stato mandato in vacanza da questa nonna che conoscevo appena. Rivedere oggi i campi di grano, i cespugli di nespole, le strade sterrate, mi riporta a quell'estate di più di 15 anni fa.
Anche se non c'era ancora questa diffusione pervasiva di smartphone e videogiochi, un bambino di 10 anni si annoiava non poco in campagna. L'unico passatempo che avevo trovato era giocare con il figlio dei vicini, che veniva spesso ad aiutare mia nonna con alcune faccende nell'orto. Giocavamo a palla, ci confrontavamo sulle differenze tra vita di città e vita di campagna, e poi al calare del sole lui rincasava. Ricordo i canti delle cicale mentre lo accompagnavo sulla strada per tornare a casa, girando l'angolo e percorrendo tutto il viale fino in fondo.
Mia nonna sembrava veramente molto contenta che giocassimo insieme, e sulle prime era un modo per ammazzare il tempo, ma ricordo che ben presto incominciai a pensare che quel bambino fosse un po' strano. Non saprei bene come spiegarlo, pure perché la mia mente puerile razionalizzava questo sentimento pensando che, in generale, la gente di campagna fosse un po' strana.
Incominciò in maniera un po' subdola. Proponeva giochi di forza, di resistenza e di coraggio, inizialmente innocenti come prenderci a pugni sulla spalla finché uno dei due non si tirava indietro (vinceva sempre lui). Propose più volte scherzi come lanciare dei sassi contro le finestre di negozi oppure di case, addirittura contro gli animali dei vicini. La maggior parte delle volte rifiutavo perché ero spaventato dalle conseguenze, ma lui non sembrava deluso, piuttosto motivato a convincermi.
La maggior parte delle volte i giochi che proponeva mi sembravano pericolosi, anche per la mente incauta di un bambino di 10 anni. Proponeva di arrampicarsi sugli scogli del fiumiciattolo e saltare tra una roccia e l'altra. Lui saltava con grande destrezza, ma io sono sempre stato un po' impacciato e temevo di cadere e farmi male per davvero. Mi mostrava scorciatoie nei boschi per raggiungere strapiombi da cui mi invitava a sporgermi per apprezzare l'altezza. Il panorama era molto bello, ma ho sempre temuto le altezze. Quando confidavo a mia nonna che alcune volte non mi sentivo molto a mio agio con il mio amichetto, che insisteva molto per farmi fare giochi che mi sembravano pericolosi, lei sminuiva e, ridendo, affermava che noi bambini di città siamo troppo paurosi.
Una mattina ricordo che portò un coltello, raccontando di averlo sottratto di nascosto a suo padre. Non un semplice coltello da cucina, ma un sofisticato coltello da caccia, estremamente affilato. "Ho in mente un gioco molto divertente", mi disse molto eccitato, "Ti metti contro il muro, ad occhi chiusi, e io là davanti alla porta. Quanto saranno, 3 metri? Ti faccio vedere come sono bravo a lanciare il coltello, sono capace a fartelo passare esattamente tra le gambe! Non ti devi preoccupare, mi sono allenato, puoi stare certo che non ti farò del male". Cercai subito una scusa, ma più mi defilavo e più lui insisteva. "Allora se non ti va di fare questo gioco facciamo che poggi la mano sul tavolo, apri bene le dita, e ti faccio vedere come colpisco il tavolo tra le due dita senza colpirti la mano? Perché non ti fidi?"
Mi spaventai così tanto che quella sera chiamai mia madre e le raccontai tutto. Non so spiegarmi con precisione cosa accadde, so solo che non ho mai visto mia madre reagire in un modo simile. Terminato il racconto disse semplicemente, con grande compostezza "Ho capito" e dopo un interminabile silenzio, durato svariati secondi, aggiunse "Non dire a tua nonna di questa chiamata. Chiuditi in camera e se lo chiede di' che hai mal di pancia e non ti senti bene. Sto venendo a prenderti. Dovrei arrivare tra 3 ore, ti riporto a casa".
Ero sconvolto. Non ho nemmeno salutato mia nonna e ovviamente nemmeno il mio amico. È stata l'ultima volta che ho visto entrambi. Poco meno di 3 ore dopo, mia madre era sotto casa, ha preparato la mia valigia, e ce ne siamo andati, senza dire niente per tutto il viaggio. Per una settimana ho fatto brutti sogni, poi è ricominciata la scuola e non c'ho più pensato, fino ad oggi.
15 anni dopo, ho ripercorso tutti i luoghi di quella folle estate, accompagnando i ricordi che riaffioravano. Assurdo come ricordi del genere possano restare sepolti per così tanto tempo. All'epoca non capivo che ci fosse qualcosa di molto sbagliato in quegli avvenimenti, pensavo semplicemente che mia nonna, quel bambino e la gente di campagna in generale fosse molto strana.
Poco fa ho incontrato una donna, poco sopra i 40, che annaffiava l'orto della casa dei vicini, oltre la curva, in fondo al viale, dove accompagnavo il mio amichetto. Abbiamo scambiato delle chiacchiere, le ho raccontato qualcosa dei miei ricordi d'infanzia su mia nonna.
"Hai sempre vissuto in questa casa? Non ricordo di averti visto quando venivo qua da bambino"
"In realtà no, mi sono trasferita pochi anni fa. Io e mio marito l'abbiamo comprata da un signore che l'ha ereditata ma vive in città"
"Che fine ha fatto la famiglia che viveva prima in questa casa? Ci abitava un bambino, oggi dovrebbe avere più o meno la mia età, sui 25 anni"
"Credo che ti confondi" mi disse amichevolmente, "Qua viveva un'anziana signora senza figli, vecchia e malata. È morta 20 anni fa, il nipote ha ereditato la casa ma c'ha messo un bel po' a venderla. Non ha mai abitato qua. In verità nessuno abita in questa casa da tantissimo tempo"
"Come è possibile?" chiedo io, colto da un attimo di confusione "Eppure sono sicuro, ogni sera, al calare del sole, il mio amico girava la curva, percorreva il viale fino in fondo e tornava dentro questa casa"
"Credo che ti confondi" mi ripetem. "Sai, alcune volte L
La memoria può giocare brutti scherzi" e abbozza un sorriso.
È vero, la memoria gioca brutti scherzi, alcune volte scompare per poi ricomparire. Una cosa adesso non capisco. Chi era quel bambino? Come faceva mia nonna a conoscerlo? E sono improvvisamente diventato paranoico, oppure è come mi sembra in questo momento, cioè voleva uccidermi?
No.11921
>>11918Dio porco che cringe.
No.11977
>>11918Mi ha commosso la tua storia da writer di creepypasta. Secondo me avevi del talento. Se vuoi montiamo un video insieme anon